pubblicato da Pagine di Difesa il 14 novembre 2004
Amiko, il nome che contraddistingue l’aeroporto militare italiano di Giacova-Dakovica in Kosovo, ha qui lo stesso significato che in Italia. Si trova nell’area ovest del territorio del Kosovo a 35 chilometri da Pec-Peja e a 70 chilometri da Pristina, la principale città della regione dove ha sede un altro aeroporto.
Il comandante del 1° Roa (reparto operativo autonomo), il colonnello pilota Francesco Salvati che è quasi a fine missione, conserva il filmato del primo atterraggio su questa pista avvenuto a 55 giorni dall’arrivo dei militari dell’Aeronautica italiana. Le immagini un po’ sgranate sul maxi schermo mostrano un G-222 dell’Aeronautica militare italiana che atterra su una pista lunga 1.500 metri e larga 30. Era una pista semipreparata e senza gli aiuti luminosi per l’atterraggio.
Da quel 29 settembre 1999 sono cambiate molte cose se solo si pensa che oggi l’aeroporto Amiko è fornito di sistema Ils (Instrument Landing System), che consente di atterrare con l’ausilio di un sistema strumentale. Ora quella pista è più lunga, accoglie voli civili per ogni evenienza e ha piazzole per elicotteri. Amiko può diventare uno strumento di sviluppo per le attività commerciali e aumentare al medesimo tempo il livello di vita della popolazione locale.
Nel territorio attorno all’aeroporto si stendono campi non coltivati che arrivano fino alle porte di Giacova-Dakovica. Sono aree abitate da tartarughe e cani. Le strade in terra battuta convergono tutte alla via principale che porta in città. A pochi chilometri dal centro, tra stazioni di servizio e ruspe che spianano le immondizie, si scorge una roulotte a fianco di una piccola baracca in lamiera.
E’ abitata da una giovane donna con i suoi tre bambini. Uno di loro, il più piccolo che ha appena compiuto sei mesi, è convalescente da una bronchite. “Meno male che oggi sono vestiti – esclama il comandante Salvati guardando i piccoli – perché fino a qualche giorno fa correvano nei campi completamente nudi”. L’aeroporto dovrebbe giovare anche a queste persone. A mamme bambine e ai loro bambini che crescono tra zolle di terra argillosa dove corrono i topi.
Per il gruppo del 1° Roa e per il club Orione 1° piano, formato da militari che alloggiano nella medesima palazzina dell’aeroporto dove vige una gerarchia goliardica, l’attività della consegna di aiuti umanitari è diventata molto importante. Merendine e indumenti, ma anche qualche gioco organizzato nei corridoi degli alloggi del 1° Roa, possono portare un po’ di serenità tra piccoli che soffrono delle malattie più impensabili.
“Dopo la guerra – spiega suor Giuliana, impegnata nella gestione dell’asilo Casa della pace a Bec, vicino all’aeroporto – si sono sviluppate molte malattie tra i più piccoli. L’anno scorso siamo riusciti a far portare in Italia una bambina con le gambe improvvisamente annerite: era meningococco. Si è salvata, anche se oggi è senza gambe e con una sola mano”.
L’urgenza dell’intervento, effettuato in Italia, è stata garantita proprio dalla vicinanza con questo aeroporto, dove la bimba è stata accolta nell’infermeria da personale medico militare per poi venire trasportata in un ospedale italiano.
Attualmente l’aeroporto consente l’atterraggio di aerei di grosse dimensioni come l’airbus. La pista è stata allungata a 1.800 metri nel maggio 2002 e nei progetti c’è una estensione fino a 2.400 metri. Da qui partono tutte le informazioni meteorologiche per l’intero Kosovo, elaborate da tre operatori impegnati per tutto l’arco della giornata.
Quest’opera tutta italiana ha destato l’interesse della Nato-Kfor, che ha chiesto di stipulare un accordo per consentire l’utilizzo dell’aeroporto a tutte le nazioni operanti in teatro. Anche la municipalità di Giacova-Dakovica, unitamente alla sede locale della Unmik (amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite), è interessata allo sviluppo commerciale dell’aeroporto, considerato dalla popolazione locale un vero e proprio Amiko.