pubblicato da Pagine di Difesa il 14 luglio 2004
“Al Qaeda è un franchising” sostiene sorridendo Natalia Springer al termine del suo intervento intitolato “War talk: strategie di comunicazione nei negoziati di guerra”. La conferenza, organizzata il 12 luglio dal corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università dell’Insubria, di Varese, apre un ciclo di convegni dedicati alla comunicazione in ambito militare.
E testimonia la volontà dell’ateneo varesino di collaborare con le Forze Armate. Così ha dichiarato nel discorso di apertura Claudio Bonvecchio, docente di Filosofia delle scienze sociali e preside del corso di laurea che ha organizzato l’evento.
La collaborazione nei programmi didattici viene cercata soprattutto con la vicina caserma Ugo Mara di Solbiate Olona, sede del comando Nato di reazione rapida (Nrdc). La presenza del comandante generale Mauro Del Vecchio al tavolo dei relatori lo conferma. La stessa Natalia Springer, del resto, ha tenuto una lezione nell’ambito di un periodo di studio presso la caserma solbiatese nel novembre dell’anno scorso.
Esperta di Diritti umanitari nei processi di pace e giustizia transizionale, è consulente esterna per l’Unhcr (UN Office of the High Commissioner for Refugees) e negoziatrice nei conflitti. A Varese ha parlato della comunicazione nell’evoluzione di una guerra: attività ambigua, dato che “facilita la pace e allo stesso tempo rischia di aggravare lo scontro”. Nonostante queste difficoltà la comunicazione rimane elemento vitale in tutto l’evolversi del conflitto.
A partire dal livello tattico, “anche se accordi con i terroristi sono difficilmente tollerabili dall’opinione pubblica come si è dimostrato nel caso della tregua concordata a Falluja dagli americani”. Senza soffermarsi sui recenti fatti iracheni, Springer ha sottolineato come la trasformazione della guerra negli ultimi quindici anni abbia trovato tutti impreparati. L’assenza di un bipolarismo stile guerra fredda ha consentito lo sviluppo di gruppi armati localizzati ma globali, ravvicinati da un disinvolto utilizzo di internet per la chiamata a raccolta.
I nuovi conflitti sono opera di mercenari, secondo Springer, e nascono dall’erosione dello stato vittima della corruzione e della bassa legittimità politica. Tutti elementi che mettono le basi per l’istituzionalizzazione di un conflitto latente. Quando emergono i contrasti e la comunicazione si annulla a favore delle ostilità, ha inizio un processo inarrestabile. “E’ proprio nel momento dello scontro che vengono chiamati i negoziatori per tentare di recuperare la comunicazione tra le parti”.
Se si riattiva il dialogo, allora comincia la risoluzione della crisi. Ma se si resta sulle proprie posizioni continuando a disumanizzare la parte avversa per combatterla non si fa un passo. “Non tutto è negoziabile e un conflitto non si risolve con un accordo”. Anzi, la fase più critica è l’attuazione nella vita di tutti i giorni di quanto concordato. “Qui i media ricoprono un grande ruolo – ammette la relatrice – che è quello di contribuire alla ricostruzione senza speculare su episodi di violenza e senza farsi strumentalizzare dalle fazioni opposte”.
Una affermazione pertinente alla professionalità dei media internazionali, ma che riferita ai locali è ancora lontana dall’essere regola di base. Per i gruppi che agiscono in franchising, cioè usando il nome dell’organizzazione terroristica e pagandone un corrispettivo, influenzare i media locali è un gioco da ragazzi.